
“Gli istrici” è il nuovo romanzo di Valentina Di Cesare, pubblicato da Caffè Orchidea a febbraio 2025. Ringraziamo Stefania Massari Communication e la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.
Di Valentina Di Cesare abbiamo recensito anche “L’anno che Bartolo decise di morire” e “Tutti i soldi di Almudena Gomez”, l’antologia a cui ha partecipato “Abruzzesi per sempre” e il volume di cui è co-curatrice “E c’erano gerani rossi dappertutto”.
Trama de Gli istrici
In uno dei tanti paesini del Centro Sud Italia in progressivo spopolamento, seguiamo uno scorcio di vita placida e isolata di alcuni dei suoi cinquanta abitanti, oscillante fra la nostalgia verso chi non c’è più e l’istinto a restare.
Il paesaggio è raccontato nello svolgersi di un anno solare attraverso le attitudini di quattro persone che lo abitano. C’è chi appare invischiato in un perenne declino autunnale, chi sprofonda nel rigore invernale, chi invece regala un frizzante sguardo primaverile e chi ha l’energia pacifica dell’estate.
Recensione
Marcel Proust diceva che è “in amore, è più facile rinunciare a un sentimento che perdere un’abitudine”. Ed è proprio una storia d’amore quella raccontata ne “Gli istrici” di Valentina Di Cesare: un amore sedimentato, irriconoscibile e forse tossico nei confronti di un territorio, di una condizione di vita.
“Ogni cosa era al suo posto, ma dietro l’ordine nitido e armonioso si nascondeva il martellare costante delle ferite sempre aperte”
I suoi personaggi sono come istrici che, per quanto vogliano farsi stretti nella solitudine, a causa dei loro aculei rimangono alla fine isolati nelle loro piccole vite, monomi abbarbicati dietro le loro persiane chiuse. La convivenza forzata provoca distanze non superabili, sguardi rivolti all’indietro.
“Fu così che i ricordi si ammutolirono e nessuno ebbe più voce per loro”
Dopo un incipit degno di “Furore”, siamo introdotti nelle vite di Francesca e dei personaggi che le si muovono intorno. Entriamo in case silenziose e solenni, allacciate tra di loro. Godiamo di descrizioni precise e sintetiche, immagini suggestive e una scrittura matura e malinconica.
“Il tempo era la sua malattia incurabile”
Il romanzo è stato scritto durante il lockdown, a una distanza di chilometri dal proprio paese e l’incertezza di poter tornare. Appaiono in tutta la loro potenza l’arsura del paesaggio, la gloria della valle, l’impero dei fenomeni atmosferici. Il tempo che non passa mai. Questo romanzo è figlio di una condizione sentimentale simile a quella di Giovanni Verga, che scrisse della sua Sicilia mentre era in una Milano rapida e roboante. Vengono rappresentati nella loro complessità, nitidi e impietosi, gli opposti che convivono in realtà molto piccole: la pace e la guerra, la solidarietà e la disperazione, la semplicità e l’inferno.