
“Il giorno dell’ape” (“The Bee sting”, la puntura dell’ape) è il nuovo romanzo di Paul Murray, tradotto da Tommaso Pincio per Einaudi. È in libreria da gennaio 2025.
L’ho ascoltato su Audible per la lettura condivisa del gruppo Facebook Leggo Letteratura Contemporanea e adesso provo a spiegare perché tutti ne parlano.
Trama de Il giorno dell’ape
La crisi economica di una famiglia di quattro membri si rivela solo la punta dell’iceberg di problemi trascinati da anni, anche esistenziali.
Padre, madre, figlia neomaggiorenne e figlio adolescente vivono le loro piccole grandi scosse in simultanea.
Recensione
L’intreccio de “Il giorno dell’ape” è architettato bene. La vicenda avanza abbastanza spedita attraverso il punto di vista parziale dei personaggi, di cui così conosciamo background, segreti, fatiche, dolori e gioie passati e presenti.
È fatto anche in modo che la prima parte sia dal respiro ampio (forse anche troppo) con molta attenzione sui personaggi – un po’ di più sugli adulti – e che poi piano piano il fiato si accorci stringendosi sempre di più fino alla conclusione.
I parallelismi e le opposizioni tra i personaggi dentro il romanzo sono numerosi. Equivoci, tentativi di felicità, cantonate. Non entro nei dettagli, ma a voler paragonare le quattro vite, ricorrono segreti, luoghi, Easter eggs. Quando conosciamo i personaggi più da vicino abbiamo la conferma che non basta giudicare dalle apparenze per farsi l’opinione di una persona. Tutto questo è sembrato architettato bene e infatti l’ho apprezzato.
“E i due sguardi, insieme alle anime che nascondono, scivolano uno sull’altro, vorticano uno sull’altro, come pattini sul ghiaccio, come mercurio sopra mercurio, tanto che ti sembra di ruotare e perdere il controllo e ruoti ruoti come se fossi al volante di un’auto che va in acqua planning nonostante tu sia di fatto immobile”
La sensazione, però, è che il prodotto sia nato come molto più breve, ma sia stato allungato quasi a forza, con flashback anche ridondanti.
Ho alcuni motivi di insoddisfazione, che mi hanno impedito di godere appieno del romanzo.
Tra tutti, spicca lo stile. Penso di aver incontrato qui la più alta incidenza di “dice” della mia vita in uno scambio di battute. Potrebbe essere anche un fatto innocuo, se non fosse che non sono stati risparmiati nemmeno i (numerosi) dialoghi tra due persone, dove, a parer mio, è scontato che dopo l’una sia l’altra a parlare.
Segue la scelta delle voci narranti. Il romanzo non è tutto volto alla comprensibile, rassicurante, tradizionale terza persona. Senza che io ne cogliessi la ragione, mi sono trovata davanti ad almeno due cambi di voce, che mi hanno totalmente destabilizzata. Probabilmente era l’effetto voluto; ma nel mio caso non è stato un effetto fortunato.
E poi c’è il finale. Finali così non dovrebbero essere consentiti dalla legge: wagneriano, sì, (e questo potrebbe essere un punto a favore) ma anche aperto, apertissimo, spalancato. Scusatemi ma sinceramente mi sono sentita presa in giro.
Fatemi sapere la vostra.